Notte di vento che passa by Milena Agus

Notte di vento che passa by Milena Agus

autore:Milena Agus [Agus, Milena]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2024-02-07T12:00:00+00:00


PRIMAVERA DI GIUGNO

12

Nel tempo fra la fine della scuola e l’esame di maturità il mio fratellino e io restammo in paese dalla nonna. Dovevo concentrarmi meglio nello studio, così spiegai, e tutti ci credettero.

Perfino nonna, anziché guardarmi da dietro gli occhiali con la solita aria da “io non ci casco”, mi trattava con grande riguardo e tutte le mattine mi faceva l’uovo sbattuto, per darmi energia.

E se inventavo che nei campi avrei studiato meglio e uscivo di corsa da casa e poco dopo mi voltavo indietro, la vedevo, ancora ferma sulla soglia, con il mio fratellino tenuto per mano, che si liberava dalla stretta, faceva qualche passo per raggiungermi e gridava: «Vini tetella, vini!».

Nonna, timorosa che gli potesse scappare quel nipotino miracolato che l’aveva fatta riconciliare con il Signore, lo riacchiappava. Tenendolo stretto, sollevava il braccio libero in segno di saluto e di augurio per tutte le cose difficili che avrei imparato quel giorno. Ma io in testa avevo altro.

Un giorno Costantino mi raggiunse a cavallo e mi disse che mi avrebbe portata in un posto.

Frustando i cespugli, solcando un sentiero d’acqua trasparente, dove si specchiavano agrifogli, quercette e roverelle, Bantine, dopo aver trottato a lungo, arrivò allo stazzo che Costantino teneva segreto, immerso in un intrico di fronde.

«Arrivati!» disse con orgoglio Costantino.

Impenetrabile se non dal vento, che scuoteva le ondulate chiome degli alberi, e dalla luce fra le fronde meno fitte, il mitico terreno, separato dal resto del mondo, mi svelava il suo mistero.

Abbandonati alla propria natura, vi erano cresciuti ulivi, mandorli, noci, un tappeto di fragole e cespugli di rosmarino dai bellissimi fiori lilla.

«Entriamo?» Me lo chiese con un tocco gentile della mano sul braccio e un mezzo sorriso.

Era una casa bassa, pitturata di fresco, nella facciata una porta e una finestra, il tetto di vecchie tegole e, dietro, un muro, dove Bantine, fermo ad aspettarci, appariva disegnato su un foglio bianco.

Costantino mi spiegò che un tempo era un ovile del nonno. La parte chiusa, ora la vera e propria casa, era stata la barraca, l’alloggio del pastore, la veranda la vecchia corte e quelle che adesso erano le piccole casette adiacenti a quella centrale erano stati su meriagu, il riparo per le pecore, e s’eile, quello per i capretti.

Aveva ristrutturato il vecchio stazzo da solo. Non aveva chiesto aiuto a nessuno, perché voleva tenerlo segreto. Ed era infatti quasi impossibile da trovare, immerso nell’intrico di alberi e rovi di uno dei tanti boschetti e perso in un silenzio fatto di fruscii di fogliame e mormorii di animali invisibili.

Mi guardai attorno, con ammirazione.

«Non mi sarei mai aspettata un posto del genere.»

«Da uno che non sopporta le poesie?»

Non sopportava le poesie, ma soltanto un poeta poteva vivere in un posto del genere.

Attraverso il portoncino di legno dell’ingresso, si entrava in una grande stanza di un ordine e una pulizia religiosi, con pochi oggetti: delle sedie, un banchetto da studente, un tavolo, una poltrona, qualche scaffale vuoto.

La casa appariva spoglia, ma lì dentro c’era tutto il necessario.

Costantino aveva dipinto le pareti di bianco e i soffitti di colori diversi.



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